Un
aneddoto su Hergé racconta che durante
la presentazione del volume Le Temple du Soleil, pubblicato nel 1949, a un
ammirato ambasciatore peruviano che gli chiedeva quando fosse stato in Perù, l’autore
abbia risposto di non esservisi mai recato.
Per
la documentazione iconografica, infatti, il creatore di Tintin ha
contattato collezionisti privati e ha inviato il suo collaboratore Jacobs a fare ricerche su quella
civiltà andina nella biblioteca dei Musei Reali di Arte e di Storia di
Bruxelles. Gli schizzi preparatori sono
stati eseguiti in maniera piuttosto disordinata da Jacobs, provocando nel racconto approssimazioni che hanno
sollevato in seguito le proteste degli americanisti specialisti nell’era
precolombiana. Quegli studi sono stati poi utilizzati dal medesimo Jacobs per L’Énigme d’Atlantide.
I
testi su cui si è basato Hergé sono:
il
libro Perou et Bolivie: Récit du voyage
(Hachette 1880) dell’eminente esploratore e archeologo austriaco Charles Wiener, e il resoconto illustrato
L'Empire du Soleil, Pérou et Bolivie
(1909) del barone Conrad de Meyendorff.
Perché Hergé ha utilizzato un libro stampato
più di 60 anni prima, quale quello di Wiener?
La risposta risiede nella ricca iconografia del volume, molto utilizzata dal
creatore di Tintin.
Altra
fonte è stato il National Geographic
Magazine del febbraio 1938, contenente un articolo con molte foto
intitolato The Incas: Empire Builders of
the Andes, firmato da Philip Ainsworth Means,
e In the realm of the sons of the Sun
(Incas), 8 illustrazioni dipinte a colori da Herbert M. Herget (nomen omen), un illustratore del National
Geographic Magazine specialista in ricostruzioni sulla vita quotidiana di
civiltà del passato.
Fonti
ispirative per la trama potrebbero essere stati il romanzo L’Épouse du soleil (1913) di Gaston
Leroux e Le Maître du Soleil
(1942) di René-Marcel De Nizerolles,
pseudonimo di Marcel Priollet,
prolifico scrittore di romanzi d’appendice noto per il suo personaggio Justin Blanchard, soprannominato Tintin le petit Parisien (1911); il
racconto di De Nizerolles presenta molti punti in comune con quello di Hergé.
In
ogni caso sembra che l’idea per la storia gli sia stata suggerita dal clamore
della “presunta” scoperta nel 1911 dello spettacolare sito archeologico andino di
Machu Picchu a opera dello statunitense Hiram
Bingham. Presunta perché in realtà le rovine della cittadella non erano
perdute, in quanto abitate all’epoca da due famiglie di contadini ignari della
sua grande importanza storico-archeologica e perché visitate in precedenza da
altri ricercatori locali.
Benché
perfezionista e maniacale nella documentazione per le sue storie, in realtà il
creatore di Tintin ha erroneamente inserito nel racconto elementi di varie
culture precolombiane del Perù e della Bolivia. Purtroppo gli errori sono già
insiti nelle immagini di Herget, utilizzate
da Hergé per alcune vignette, in cui
ha riprodotto inconsapevolmente anche gli errori realizzati dall’artista
statunitense. Forse, l’autore belga non era sufficientemente informato sulla
complessa evoluzione delle varie culture andine di cui, all’epoca, si sapeva
ben poco!
Nella
prima parte, intitolata Les Sept Boules de cristal, il racconto si svolge in
Europa.
Tintin, Milou, il capitano Haddock e il professor Tournesol vanno a trovare Hippolyte Bergamotte, settimo membro di
una spedizione archeologica che ha riportato alla luce la mummia di Rascar
Capac “colui-che-scatena-la-folgore”.
Il nome ricorda quello di Huascar Càpac, ultimo sovrano Inca di Cusco, fatto
uccidere dal fratellastro Atahualpa, signore di Quito, nella tragica guerra
civile che dilaniò il vasto l’impero inca, chiamato Tahuantinsuyo (Le Quattro
regioni unite), e che facilitò la conquista da parte spagnola.
Non
esiste una maledizione Inca, su cui si basa la trama, creata da Hergé con la complicità di Jacobs e Jacques Van Melkebeke, sicuramente oggi esiste il soroche o mal di montagna che colpisce i
turisti non abituati alle altitudini andine, combattuto solo con la
masticazione delle foglie di coca e l’assunzione di diuretici. In ogni caso la
maledizione di Rascar Capac di cui si parla nel primo episodio sembra copiata,
verosimilmente, da quella egizia del faraone Tutankhamon, che Jacobs ha sapientemente sfruttato in
seguito anche per Le mystére de la Grande Pyramide.
Interessante
la posizione fetale della mummia di Rascar Capac disegnata da Hergé,
corrispondente alla realtà. I popoli andini credevano che la morte fosse
un prolungamento naturale dell’esistenza nell’aldilà e che i defunti
continuassero a vivere come entità spirituali nei corpi mummificati; per tale
motivo ritenevano che il corpo, intatto, del defunto dovesse essere messo nella
medesima posizione della nascita terrena, nei loculi trapezoidali lungo i muri
degli edifici, oggi visibili nei vari siti archeologici andini, dove si mummificavano
grazie alle aspre condizioni climatiche dell’altitudine, o in fosse scavate nel
terreno, per essere a contatto con Pachamama, la Madre Terra da cui proveniamo
tutti, secondo le credenze andine.
La
mummia, i cui ornamenti richiamano quelli di altre similari, è copiata da una
trovata nella zona di Paracas, sede di una cultura preincaica.
Paracas
è famosa anche per i ritrovamenti di numerosi teschi allungati che tanto
incuriosiscono i cultori di xenoarcheologia o archeologia spaziale, visibili
nel Museo Arqueologico Antonini di Nasca.
Le
mummie degli Inca erano situate bene in vista dello splendido Corikancha (Tempio del Sole) a Cusco, capitale del Tahuantinsuyo e centro
dell'Universo secondo la cosmovisione andina, mentre quelle dei nobili e del
popolo erano posizionate negli altri edifici o in fosse circolari scavate nella
terra. Le
rovine del Corikancha sono ancora visibili nel convento di Santo Domingo,
compresa una pietra a L con 12 angoli perfettamente incuneata fra le altre,
senza spazi fra le superfici di contatto con le altre pietre, come solo la
misteriosa e incredibile conoscenza degli ingegneri inca sapeva fare.
Il
fulmine, un poco burlone, disegnato nell’immagine della copertina e che nella
tavola n.31 disintegra la mummia di Rascar Capac sembra avere una base di
realtà.
In
un’ala del museo Santuarios Andinos
di Arequipa, dedicata ai recenti
ritrovamenti di mummie di giovani sacrificati in alta quota sulle montagne (fra
cui la famosa "vergine dei ghiacci” Juanita, mantenuta a -40 gradi), sono
esposti gli abiti indossati dai niños del
rayo giovani vittime così soprannominate per le bruciature provocate dai
fulmini; ci sono anche le foto di un
cranio infantile con i fori causati da ripetuti fulmini che si erano accaniti
contro quell’infelice corpicino. Si tratta di scoperte archeologiche recenti,
che né Hergé né altri all’epoca hanno
avuto la possibilità di conoscere.
le quattro vignette della mummia a quali edizioni appartengono?
RispondiEliminaLa prima è la versione apparsa su Le Soir (striscia di sabato 15 aprile 1944), l'ultima quella nell'album sin dalla sua prima edizione del 1948 a colori. Le due intermedie sono studi per la preparazione dell'album (aggiunta di capelli e piume, modifica del copricapo e dettagli minori).
RispondiEliminaOrmai la guerra stava finendo con la sconfitta della Germania ed Hergé, in questa storia, ha prudentemente messo da parte il filonazismo e l'antisemitismo manifestato più o meno direttamente nelle precedenti.
RispondiEliminamerci beaucoup :-)
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