Quando si pensa al lontano Tibet le prima cose che vengono alla mente sono la neve e le
montagne, il buddhismo con il Dalai Lama, i monaci, il palazzo del Potala e le
stupe. Per
noi occidentali il
Tibet ha sempre esercitato un fascino sull’immaginario
collettivo, come dimostra Lost horizon
(1933), il celebre racconto di James
Hilton che descrive Shangri-la, luogo immaginario in una valle himalayana
sperduta, divenuto un simbolo per l’idealizzazione del mondo perduto come
“paradiso” e che ha contribuito non poco all’idea di un Tibet sede di
conoscenze ultramillenarie.
Il mito della perduta civiltà di Agarthi, che
coincideva con quello caro alla fantascienza della Terra cava al centro, influì
anche sulle società esoteriche a cavallo del Novecento, dalla Società Teosofica Internazionale di Madame Blavatsky alla Società Thule, dal cui nucleo sorse il
partito nazionalsocialista di Hitler; e proprio i nazisti organizzarono
spedizioni sugli altopiani tibetani alla ricerca di Agarthi, dove si riteneva che risiedesse un popolo di Antichi,
progenitori degli Ariani.
Anche
il mondo delle bedé non poteva sottrarsi al fascino del Tetto del mondo, per
cui alcuni dei principali personaggi hanno almeno una volta fatto un viaggio in
quel lontano paese.
Si
inizia con Tintin
nel Lotus Bleu (1934), con cui Hergé
ha spalancato le porte dell’immaginazione sul favoloso Oriente misterioso. Il
suo esempio è seguito da Jijé con un episodio di Trinet et Trinette pubblicato nel 1939 su Le Journal de Spirou, Dans l’Himalaya.
Nel
1946, Edgar Pierre Jacobs fa
iniziare sul primo numero del settimanale Tintin,
edito da Raymond Leblanc, Le secret de l’Espadon, primo episodio di Blake et Mortimer.
Il racconto si apre con un attacco al mondo occidentale, che scatena una terza
guerra mondiale, da parte del dittatore Basam-Dandu, imperatore di un
fantomatico Impero Giallo con sede a Lhassa.
Nel
1954, su Le Journal de Spirou esce Les Soucoupes
volantes, nono episodio di Blondin et Cirage, di Jijé e Franquin: i due
protagonisti partono per il Tibet alla ricerca dell’abominevole uomo delle nevi,
salvo poi incontrare esseri che usano dischi volanti!
Nel
1960, Jean-Michel Charlier e Victor Hubinon inviano Buck Danny e i suoi due amici piloti negli episodi 22 e 23, Top Secret e Mission vers la valleé perdue, in missione in
Tibet, in cui hanno a che fare con monaci agguerriti.
Nel
medesimo anno esce Tintin au Tibet, ventesimo episodio creato da Hergé: apparentemente si tratta di una
“quête” in cui Tintin e Haddock partono alla ricerca dell’amico
Tchang, protagonista del Lotus Bleu, apparso in pericolo in un sogno del
reporter con il ciuffo. In realtà è un racconto cardine per George Remi, alias Hergé, perché rappresenta il punto di svolta sul suo percorso verso
il raggiungimento di un suo equilibrio interiore. In un momento cruciale della
propria vita l’autore è in crisi, sono in bilico tutti quei valori inculcati in
gioventù dall’educazione cattolica ricevuta e dall’insegnamento scoutistico,
valori che hanno costituito la base per le avventure di Tintin.
In
pratica è preda di rimorsi per il tradimento nei confronti della moglie Germaine
Kieckens a causa della sua tresca amorosa con la giovane Fanny Vlamynck, colorista
degli Studios Hergé e sua futura
moglie. L’episodio non ha un cattivo di turno o complotti internazionali da
sconfiggere, è una semplice storia di amicizia, la ricerca affannosa di un
amico, traslazione del reale rapporto amichevole fra George e il cinese Tchang,
che lo aveva aiutato per l’episodio Le Lotus Bleu, e di cui non ha più notizie dopo la
rivoluzione culturale cinese.
Il
racconto, quindi, è un inno all’amicizia, con Tintin che
si spinge oltre ogni misura nella speranza di salvare Tchang, vincendo tutti
gli ostacoli e i pregiudizi frutto dell’ignoranza. E ci riesce. In scena anche l’abominevole
uomo delle nevi, una creatura che non ha niente di abominevole se non il
nefasto pregiudizio degli uomini su di essa.
Nell’episodio
predomina il candore delle nevi, il bianco, simbolo di purezza, e Hergé, che sogna ricorrenti incubi di
colore bianco, va da uno psicanalista affinché lo aiuti a uscire dalla grave
crisi depressiva in cui è caduto. Il medico gli spiega che tali incubi
rappresentano un suo bisogno interiore di purezza per cui gli consiglia di
smettere di lavorare.
Invece,
fortunatamente per noi, l’autore decide di combattere i propri demoni e di creare
questo capolavoro della bedé. E se è vero che Tintin è
l’avatar di Hergé, non è un caso che
anche Tintin viva la solitudine e l’angoscia negli altopiani
tibetani, prima di trovare un proprio equilibrio, ritrovando l’amico,
rappresentazione di quella purezza cui aspira George.
Nel
1967, Tif et
Tondu, nel tredicesimo episodio, Le Grand Combat, di Maurice Rosy e Will, si scontrano ancora una volta con Mr. Choc in un duello in cui si mescolano le tradizioni tibetane.
Si
deve arrivare agli anni 70, sull’onda delle contestazioni giovanili, della
ricerca di un Io interiore con meditazione tramite droghe e filosofie orientali,
che tornano di moda i viaggi in Oriente. E anche la bedé si adegua.
Un
caso fortuito vuole che siano proprio due autori svizzeri, Cosey e Daniel Ceppi, ad
aver scelto i viaggi in Oriente come tema e ambientazione delle storie, dei loro
rispettivi personaggi: Jonathan (1975) e Stéphane Clément (1977). Autori molto intimisti e poco avventurosi nel
senso classico della parola, su Jonathan stiamo
pubblicando alcuni post in concomitanza con l’uscita degli episodi nella Collana Avventura della Gazzetta dello Sport, mentre la saga di Ceppi
meriterebbe anch’essa una riedizione integrale, soprattutto perché rimasta
inedita dopo i primi numeri tradotti anni addietro.
Le Lama Blanc (1988), scritto da Alejandro
Jodorowsky e disegnato da Georges
Bess, è una saga mistica sospesa fra poesia e violenza, fra riferimenti
storici e finzione narrativa, in cui si affronta il mistero della spiritualità
come solo un visionario alla stregua di Jodorowsky sa fare.
Nel
1989, Bob et
Bobette, disegnati da Paul Geert, si ritrovano sull’Himalaya nell’episodio
220 della serie rossa, intitolato Sagarmatha.
Nel
2008, il sedicesimo episodio di Largo Winch, La voie et la vertu, di Jean Van Hamme e Philippe
Francq è ambientato nel paese delle nevi.
Indubbiamente
nella maggior parte degli episodi succitati ne esce un Tibet di maniera; solo
in Tintin in
Tibet e in tutta la saga di Jonathan
troviamo i punti più alti raggiunti dalla bedé nella rappresentazione dell’ammaliante,
per noi occidentali, paese e della sua millenaria cultura.
Facendo una ricerca su Daniel Ceppi sono capitato su questo topic dove si cita una delle avventure del suo personaggio Stephane Clement; avrei una modesta proposta da far arrivare se possibile a Nona Arte; dopo le avventure di Jonathan non si potrebbero pubblicare quelle appunto di Stephane Clement che solo in parte furono pubblicate dall'editore Nuova Frontiera? (cinque in albo e due a puntate, ne restano sette inedite) Ceppi come Cosey e' autore franco-svizzero e la serie di Clement data dal 1977 (contemporaneo a Jonathan!). A chi ha letto le prime avventure (io ho anche le seguenti in originale)non puo' sfuggire una certa somiglianza tra le avventure di Jonathan e Stephane, E' appena uscito un nuovo album, Lady of Shalott, che fa un cross over tra Stephane e i protagonisti dell'altra serie di Ceppi, CH Confidentiel.
RispondiEliminaLa Collana Avventura si conclude con Jonathan, comunque non è detto che prima o poi non riprenda sotto nuove spoglie, così com'è avvenuto con la Collana Western visto che ci sono molti alti personaggi degni di esservi inclusi. Comunque faremo arrivare a Nona Arte, o a chi di dovere, il suggerimento.
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