Nella
quarta avventura di Tintin inizia la
lunga marcia di Hergé verso la
maturità creativa e grafica. Le figure diventano meno pupazzettistiche, inizia
a utilizzare le immagini in ombra, come i maestri del fumetto americano, Roy Crane, autore di Wash Tubbs e Geo Mc Manus,
autore di Bringing
Up Father. Per la trama non si tratta più solo di descrivere puntata
dopo puntata, senza un’idea precisa, un viaggio avventuroso del reporter con il
ciuffo in un paese a lui ignoto, come era avvenuto per la Russia, il Congo e
gli USA, l’autore ha ormai in mente una sinossi per la sua creatura: deve scoprire
i trafficanti di oppio e di armi. Dunque un’altra avventura immersa nella
realtà del suo tempo!
Pubblicata
a puntate su Le Petit Vingtiéme dal
dicembre 1932 al febbraio 1934 in 124 pagine in bianco e nero, questa è stata
l’ultima dei primi episodi a essere ridisegnata e reimpostata in 64 pagine a
colori nel 1955 con il sostegno degli Studios
Hergé, mentre quelli lo sono stati fra il 1943 e il 1947 con l’aiuto di Edgar Pierre Jacobs.
Per
la ricerca il nostro reporter spiega fin dalle prime vignette a Milou le tappe del viaggio intrapreso:
Porto Said, il Canale di Suez, Aden, Colombo, Singapore, Hong Kong e Shangai, attraversando
tre paesi, l’Egitto, l’Arabia saudita e l’India, salvo poi proseguire nella
seconda parte del racconto, Il Loto blu, in Cina. Dunque un viaggio che
attraversa tutto l’Oriente, dal medio all’estremo, ma nella prima parte i
paesaggi esotici che fanno da sfondo agli eventi sono ancora solo abbozzi di
scenografie, per quanto rifacentesi a foto e immagini d’epoca.
E
nella versione in bianco e nero c’è un anacronismo già nella seconda vignetta
della seconda tavola, in quanto Tintin capisce la
risposta di Milou e risponde a sua volta; fino a quel momento gli interventi
parlanti del cane sono soltanto commenti alle azioni umane del suo padrone o
dei comprimari o ai suoi stati d’animo, ora invece avviene un vero e proprio
scambio fra esseri senzienti! Sembra più una disattenzione, peraltro unica nella
saga!
Hergé abbandona il piano
puramente “reale” dei racconti precedenti per entrare nella sfera del
fantastico, con uno sguardo nel mistero, nell’onirico e nella follia. Per
quanto riguarda l’onirismo, c’è un sogno\allucinazione, provocato dai fumi
dell’oppio, inusuale per una storia che teoricamente doveva finire in mano a
lettori adolescenti.
Negli
episodi successivi, all’onirismo si associano anche la chiaroveggenza,
l’ipnosi, il paranormale, la radioestesia, la telepatia, lo spirituale e le
superstizioni e gli extraterrestri, insomma un vero e proprio mondo di forze
oscure, che rappresentano una chiave di lettura psicoanalitica importante
nell’analisi dell’opera di Hergé, come ben evidenziato nel volume di Historia intitolato Tintin et les forces obscures (Les
Editions La Presse, 2013).
La
presenza di un mistero da risolvere spinge l’autore a ideare su Le Petit Vingtiéme una rubrica settimanale,
Le Mystére Tintin, in cui pone
domande e riporta le soluzioni più suggestive dei lettori. Tale rubrica
proseguirà fino all’ottavo episodio, Lo Scettro d’Ottokar, contribuendo enormemente
alla diffusione della mitologia di Tintin.
Indubbiamente
la trama deve molto ai feuilletons: il misterioso Genio del male, che sembra
morire cadendo da un dirupo, la terribile società segreta e il simbolo di
Kih-Oskh, il fachiro cattivo, il veleno che rende folli, tutte trovate tipiche
della letteratura d’appendice.
Gli
incappucciati, il simbolo e l’Oriente fanno venire in mente la massoneria;
alcuni tintinofili sono convinti che l’autore ne fosse un affiliato, come si legge
sui saggi che parlano dell’aspetto esoterico nella sua opera: Hergé au pays des tarots (Cheminements,
1999) e Hergé chez les Initiés di Jacques Fontaine (Éditions Dervy, 2004).
Un altro
aspetto molto importante è la comparsa di personaggi che diventano routinari
nelle storie di Tintin,
contribuendo a creare quell’universo che renderà più plausibili le sue
avventure e a internazionalizzarlo. Il primo è il nasuto e cattivo Roberto
Rastapopulos, nemico giurato del nostro eroe, genio del male, l’Olrik
tintiniano.
C’è
anche la prima apparizione dei due poliziotti “gemelli” in bombetta nera,
chiamati nella prima versione in bianco e nero X-33 e X-33 bis, mentre
in seguito scopriremo i loro nomi: Dupond
e Dupont, assolutamente
indistinguibili l’uno dall’altro tranne che per un particolare fisico, la punta
dei baffi, in su e in giù. Campioni di ingenuità e di scemenza, sono fra i
personaggi meglio riusciti dell’universo creato da Hergé.
Come
ricordato anche nel redazionale del volume della Gazzetta, i due sono la trasposizione delle figure del padre di
Hergé, Alexis, e dello zio Léon, suo gemello. La loro misteriosa nascita ha rappresentato un
segreto che ha portato molti biografi a ipotizzare per essi una discendenza
reale in quanto figli di una relazione effimera della loro giovane madre, Marie
Dewigne, con qualche
alto personaggio, si fa il nome addirittura del re Leopoldo II! Tale ipotesi si
basa sul fatto che la ragazza-madre fu inspiegabilmente ospitata nella casa
della contessa Errembault de Dutzeele, dove i due gemelli furono allevati.
Fino a 14 anni furono educati, vestiti e mandati a scuola, in un periodo in cui la scuola non era per tutti, a spese della contessa, che provvide anche a fare sposare alla madre, all’epoca trentatreenne, un uomo più giovane di lei di dieci anni, Philippe Eugene Remi, un uomo che diede il proprio cognome ai gemelli, pur non vivendo mai con la ragazza. E quando loro chiedevano notizie sulla paternità, la madre rispondeva che se glielo avesse detto, a loro poteva girare la testa! Si ipotizza che questa vita agiata sia stata concessa in cambio del suo silenzio sulla paternità dei bambini. In ogni caso lei fino alla fine non disse niente a nessuno, compresi parenti e amici.
Fino a 14 anni furono educati, vestiti e mandati a scuola, in un periodo in cui la scuola non era per tutti, a spese della contessa, che provvide anche a fare sposare alla madre, all’epoca trentatreenne, un uomo più giovane di lei di dieci anni, Philippe Eugene Remi, un uomo che diede il proprio cognome ai gemelli, pur non vivendo mai con la ragazza. E quando loro chiedevano notizie sulla paternità, la madre rispondeva che se glielo avesse detto, a loro poteva girare la testa! Si ipotizza che questa vita agiata sia stata concessa in cambio del suo silenzio sulla paternità dei bambini. In ogni caso lei fino alla fine non disse niente a nessuno, compresi parenti e amici.
Nella
vasta biblioteca di saggi sull’autore non mancano scritti in questo senso: Avant Tintin di Hervé Springael (1987), Hergé, portrait biographique di Thierry Smolderen e Pierre Sterckx (Casterman, 1988),Tintin et le secret d’Hergé di Serge Tisseron (Editions Hors
Collection, 1993) e Le démon inconnu
d’Hergé di Bertrand Portevin (Dervy, 2004).
Il
mistero, che oggi sarebbe facilmente risolvibile con le ricerche sul DNA, ha
influito molto sul carattere di Hergé,
il quale, forse, si considerava di sangue reale ma non poteva dimostrarlo. Indubbiamente
oggi la sua popolarità in patria, e fuori, è tale che potrebbe essere
considerato alla stregua di un vero e proprio re del Belgio!
L’ultimo
personaggio ricorrente nella serie è il mercante portoghese Oliveira de
Figuera, una figura allegra e fracassona, molto meridionale, che riesce a
sopraffare perfino la serietà del reporter con il ciuffo, il quale, negli
incontri con il simpatico imbonitore, soccombe sempre in una maniera beatamente
incosciente!
C’è poi la figura dello sbadato scienziato Philémon Siclone, che prelude a quella futura e più incisiva del candido professor Tournasol (Girasole).
Un
altro anacronismo riguarda la copertina del volume delle avventure di Tintin che lo sceicco Patrash Pasha mostra al reporter, suo
prigioniero. Infatti nella versione in bianco e nero del 1934 c’è quella
dell’avventura americana, immediatamente precedente, nella seconda sempre in bianco
e nero, è riprodotta quella dell’avventura congolese, mentre, invece, nella
prima versione a colori del 1955 c’è Obiettivo Luna, uscito nel 1953 ma che negli Anni
Trenta non esisteva!
Per
i volumi pubblicati da Casterman
sono state utilizzate tre copertine differenti. La prima, molto particolare con
l’eroe che spunta dietro una colonna imprecisata, con una pittura egizia sullo
sfondo, risente dell’influenza del cinema espressionista tedesco ed è per la
versione in bianco e nero del 1934.
La seconda, sempre per l’edizione in bianco e nero, è del 1942 ed ha il medesimo tema però è ridisegnata in maniera più dettagliata, più bella ed è molto ricercata dai collezionisti.
L’ultima è stata utilizzata per la versione di 64 pagine a colori nel 1955, versione poi rimaneggiata definitivamente, a sua volta, nell’edizione del 1964. Quest’ultima copertina si evidenzia per la scherzosa presenza di Jacobs, rappresentato fra le mummie degli egittologi, un vero e proprio omaggio al suo primo aiutante, che con Il Mistero della Grande Piramide ha fatto entrare in maniera strepitosa l’Egittologia nella BD.
Forse Hergé ha provato rimorso per non aver aderito alle richieste di Jacobs di aggiungere il proprio nome sui volumi di Tintin, nel periodo della loro amichevole collaborazione, in cui Jacobs ha ridisegnato e colorato le prime storie e aiutato nella realizzazione delle successive.
La seconda, sempre per l’edizione in bianco e nero, è del 1942 ed ha il medesimo tema però è ridisegnata in maniera più dettagliata, più bella ed è molto ricercata dai collezionisti.
L’ultima è stata utilizzata per la versione di 64 pagine a colori nel 1955, versione poi rimaneggiata definitivamente, a sua volta, nell’edizione del 1964. Quest’ultima copertina si evidenzia per la scherzosa presenza di Jacobs, rappresentato fra le mummie degli egittologi, un vero e proprio omaggio al suo primo aiutante, che con Il Mistero della Grande Piramide ha fatto entrare in maniera strepitosa l’Egittologia nella BD.
Forse Hergé ha provato rimorso per non aver aderito alle richieste di Jacobs di aggiungere il proprio nome sui volumi di Tintin, nel periodo della loro amichevole collaborazione, in cui Jacobs ha ridisegnato e colorato le prime storie e aiutato nella realizzazione delle successive.
Un
terzo anacronismo presente nella versione del 1955 è la comparsa di Allan
Thomson, il quale, in realtà, farà il suo primo ingresso nel successivo nono episodio
Il granchio d’oro.
Le
edizioni delle prime opere di Hergé con
diverso numero di pagine, in bianco e nero o a colori, con copertine differenti
o vignette via via sostituite da altre più “politically correct”, rappresentano
un vero rompicapo per i collezionisti tintinofili, costretti ad acquistarle
tutte; Fra i non pochi i saggi dedicati all’argomento spicca l’esaustivo Dossier Tintin di Frederic Soumois (Jacques Antoine, 1987).
Purtroppo temo che Dossier Tintin di Frederic Soumois sia fuori catalogo.
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