Sei
mesi dopo la fine dell’Isola Nera, dal 1
agosto 1938 al 10 agosto 1939, Hergé
pubblica su Le Petit Vingtiéme la
nuova avventura di Tintin, intitolata Tintin en Syldave, lunga 108 tavole.
Poi
il racconto è pubblicato in un volume di 106 pagine in bianco e nero nel 1939 con
il titolo Le Sceptre
d’Ottokar, in italiano Lo Scettro d’Ottokar. Ormai l’arte di Hergé, sia da un punto di vista grafico
che di scrittura di soggetti, migliora da un episodio all’altro, la struttura
dei suoi racconti diventa più solida, più plausibile.
Il
precedente ammonimento dell’abate di
Louvain a non descrivere il popolo cinese secondo gli stereotipi dell’epoca
e il prezioso aiuto dell’amico cinese Tchang
Tchong per Il
Loto blu sono state lezioni perfettamente
recepite dall’autore: anche nel caso di un popolo fittizio, quale è quello
sildavo, la descrizione deve avere una parvenza di realtà.
La
trama si svolge nell’Europa dell’Est in un momento storico in cui da pochi mesi
c’è stato l’Anschluss dell’Austria da parte della Germania nazista di Hitler. E Lo Scettro d’Ottokar è il racconto
di un Anschluss mancato in un paese immaginario, la Sildavia, che Hergé crea con grande intuito e
fantasia, inventando storia, geografia, economia, etnografia, sigillografia,
numismatica, perfino lingua e sintassi di quella nazione! Il tutto serve a
rendere credibile per il lettore il paese in cui si svolge l’episodio.
Oltre
alla Sildavia, il cui nome deriva dall’unione della parole greca sylva (bosco, foresta) con Moldavia, ha
creato anche uno stato fascista nemico, la Borduria, nome derivante dall’unione
di bordure (confine) con Bulgaria. Da
un punto di vista politico europeo la Sildavia potrebbe essere identificata con
la Polonia, invasa dalla Wermacht tre settimane dopo la fine della
pubblicazione dell’episodio su Le Petit
Vingtiéme, oppure con l’Austria o l’Albania. Come ha scritto nel 1939 il
medesimo autore a Charles Lesne,
braccio destro dell’editore Louis Casterman,
inquieto per l’eccessiva lunghezza dell’episodio Tintin en Syldavie: «Se hai seguito un poco la storia vedrai che
è tutta basata sull’attualità. La Sildavia è l’Albania. Si prepara un’annessione
in piena regola. Se si vuole approfittare del beneficio di questa attualità,
questo è il momento o mai più.»
Mentre
la Borduria potrebbe essere stata la Germania o la Russia sovietica, non
dimenticando però che in una vignetta i militati dell’alto comando borduro
indossano una camicia nera sotto la divisa, come la nostrana milizia fascista. Il
nome del cattivo Musstler, capo della Guardia d’Acciaio, deriva chiaramente dall’unione
di quello di Mussolini con quello di Hitler! Sildavia e Borduria entreranno,
come San Teodoro, nella geografia fantastica di Tintin, tanto da essere riutilizzate in altre storie successive.
Con
questa metafora politica si può parlare di chiaroveggenza politica, di semplice
casualità o di pura intuizione di Hergé?
Nessuno è in grado di dirlo, si può però sottolineare solo la sua grande
capacità di sintesi nell’attualità della sua epoca. In pratica ha creato una finta
trasposizione di un fatto, contemporaneamente a quanto avvenuto nella realtà!
Si
sa che il compagno di scoutismo di Hergé,
Philippe Gérard, da lui ritratto nel
1929, ha giocato un ruolo nell’elaborazione del racconto. Hergé riconosce il suo merito nell’intervista fattagli da Numa Sadoul nel 1971, però senza
nominarlo poiché si allontanarono durante la guerra: «È un amico che mi ha dato l’idea della storia.» E nel 1982 conferma
a Benoît Peeters: «Non mi aveva dato un vero soggetto, mi aveva
suggerito delle eccellenti idee, molto approfondite, su cui potevo ricamare
sopra.» Tuttavia né tali confidenze allusive, né la dedica del volume a
colui “senza il quale questo libro non ci sarebbe stato” permettono di valutare
il reale apporto di Gérard alla realizzazione della storia.
Dopo
il feticcio arumbaya, anche in questo episodio c’è un oggetto simbolo, lo Scettro
di Ottokar raffigurante il pellicano, simbolo del paese, che rappresenta il
potere per chi lo possiede! E il suo possesso diviene l’argomento centrale del
racconto.
Geniale
la trovata di Hergé di immaginare
una brochure turistica sulla Sildavia, realizzata nelle due tavole della sedicesima
puntata su Le Petit Vingtiéme. Il
depliant contiene un testo con informazioni sulla Sildavia e riproduzioni di foto
che servono a inquadrare la sua situazione geo-politico-economica. In alcune di
tali foto l’autore disegna inquadrature di personaggi che guardano verso il
lettore, nell’intento di rafforzare l’idea in chi legge di essere di fronte a
una nazione realmente esistente e a un fatto accaduto! Questo voler inserire ormai
nei racconti la riproduzione di documenti stampati, presentandoli come
autentici, serve ad Hergé per calare
le trame di Tintin in un contesto credibile.
Nel
racconto compare per la prima volta Bianca
Castafiore, stupefacente cantante della Scala di Milano, unica presenza del
gentil sesso ammessa da Hergé nell’universo tintiniano.
Per
quanto riguarda l’aspetto umoristico del racconto, fin dall’inizio regnano
sovrane le gag dei pasticcioni Dupond-Dupont con le loro ripetute cadute.
Più
sottili quelle ideate per Milou, che
in questo episodio ha un’importanza rilevante. La ripetuta gag del fedele cane,
più volte spinto dall’istinto famelico a prendere ossa da rosicchiare, compreso
quello di un animale antediluviano,
serve
per la scena finale in cui il povero quadrupede, costretto a scegliere fra il
piacere di un succoso osso o il dovere di prendere lo Scettro, oggetto per lui
senza alcuna importanza ma che interessa Tintin, soccombe al dovere nei confronti
dell’amico\padrone e salva lo scettro, che è riconsegnato al suo legittimo
possessore, il sovrano Muskar XII.
Abbiamo
detto della presenza dei due simpatici poliziotti gemelli, ma in questo
episodio c’è una particolarità, una seconda coppia di gemelli, Nestor e Alfred Halambique.
Ecco dunque ritornare in maniera più ossessiva il tema del “doppio”, che
potrebbe trovare una sua spiegazione psicoanalitica nel segreto familiare di
cui abbiamo scritto nel post su L’Isola nera. Tale ossessione per il doppio può
anche essere letta come un’ammissione inconscia di una ambiguità nella propria vita:
una faccia esteriore, tutta casa, chiesa, scoutismo e fumetto e una più
nascosta, che ambisce a vivere una vita più libera, meno costrittiva e che verrà
in superficie negli anni a seguire. Forse è anche questa ambiguità uno degli
aspetti più intriganti della personalità di Hergé.
Il
volume, uscito nel 1939, avrebbe dovuto chiamarsi Lo Scettro di Ottokar IV, poi il
numero romano è stato soppresso. In copertina scompare la parola reporter,
presente nei precedenti volumi.
Per
una serie di ritardi i quattro fuori testo disegnati da Hergé arrivano tardi in
tipografia, per cui 500 copie “incomplete”, oggi ricercatissime dai
collezionisti, sono distribuite presso le principali librerie e alla stampa.
È
innegabile il prezioso aiuto di Edgar
Pierre Jacobs sulla rimodulazione
degli sfondi per la versione a colori, pubblicata in volume da Casterman nel
1947. La sua puntigliosità sulle ricostruzioni storiche è ormai leggendaria e con
il suo apporto il racconto acquista un aspetto epico che manca nella versione
in bianco e nero, peraltro ben costruito.
Il
creatore di Blake
et Motimer aggiunge due ali al
pellicano dello Scettro di Ottokar, dandogli un aspetto più regale;
nella
brochure turistica aggiunge una splash page riproducente la battaglia di
Zileheroum, disegnata come se fosse stata ripresa da una miniatura, in realtà
sulla falsariga delle miniature persiane del XV secolo;
la
descrizione del castello è migliorata e quella della corte reale di Muskar XII diviene
più sfarzosa.
In una
fra le più celebri vignette, quella finale sull’ingresso di Tintin nella sala del trono per la cerimonia della consegna
dell’Ordine del pellicano d’Oro, la più alta onorificenza sildava, mai concessa
a uno straniero, i due autori si sono divertiti a ritrarsi nella nobiltà della
corte insieme agli amici più prossimi: Ginette
e Jacques Van Melkebeke, Édouard Cnaepelincx e il pittore Marcel Stobbaerts, oltre a Germaine Kieckens, prima moglie di Hergé, e al fratello Paul Remi.
Per
essere più precisi Jacobs è ritratto
in tre vignette contro le due di Hergé.
In effetti tutta la storia potrebbe essere letta come un desiderio nascosto da
parte di Hergé di essere accolto
presso la corte belga o di rivalsa per un ipotetico titolo genealogico nobiliare,
se non addirittura regale, a lui precluso. E, vista in questa ottica, la
vignetta di Tintin nella sala del trono è molto significativa.
Nella
rivista canadese Tchiize del 1987, c’è il racconto a puntate Les aventures de
Quinquim-la-flotte a la recherche de Tintin di
Luis Neves. La storia si rifà a Lo Scettro d’Ottokar e a L’Affare Tornasole, infatti si
svolge in Sildavia e ci sono anche il castello di Klow, la dimora di
Moulinsart, Nestor e il capitan Haddock, che incarica Quinquim e il suo amico
Garcia di ritrovare Tintin, scomparso in Sildavia. Uno degli innumerevoli
omaggi moderni al reporter con il ciuffo!
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