In questo episodio ancora
una volta Tintin deve vedersela con trafficanti di oppio, evidentemente a quei tempi il
narcotraffico era più diffuso di quel che si possa ritenere oggi se Hergé
fa scontrare la propria creatura con narcotrafficanti per ben due volte nel
giro di otto anni (1932-1940).
Non potendo più interessarsi di avvenimenti
reali, Hergé si spinge verso l’evasione, l’avventura più pura, vissuta in
ambienti naturali opposti, il mare aperto e il vasto deserto di sabbia.
È anche il racconto dove
compare un nuovo personaggio, il capitano Haddock. L’ubriacone e
lamentoso marinaio, descritto in alcuni casi al limite del delirium tremens,
è una figura che attira subito l’attenzione del lettore; si capisce che è
destinato a grandi imprese.
In realtà la figura del
barbuto marinaio Haddock non è solo quella del beone, perché è anche un
uomo maturo, generoso, sensibile, portato alla collera, alle ingiurie, alla
lotta; con le sue qualità, il suo vizio e le sue debolezze è stato reso
talmente umano da Hergé da riuscire a mettere in ombra lo stesso Tintin,
personaggio a tutto tondo, puro, perfetto. Indubbiamente rappresenta
l’alter-ego umano di Tintin. I due, però, hanno dei punti in comune, l’altruismo, il coraggio e l’onestà.
Hergé ha affermato una volta che il temperamento di Haddock è
stato ispirato da quello del collega E. P. Jacobs, all’epoca ancora suo
amico.
È anche il racconto in
cui sono più insistenti gli accenni all’alcolismo. Le ripetute scene di bevute
e ubriacature, descritte con molto realismo, e l’insistenza sull’argomento da
parte dell’autore sul problema di Haddock non possono non ingenerare in
chi legge un dubbio sulla possibilità che l’autore abbia voluto descrivere un
proprio stato di dipendenza dall’alcool.
Il libro proibito |
Ricordiamo a tal
proposito che nel 1985, Bertrand Boulin, ex alcolizzato, ha scritto Tintin
et l’alcool, Éditions Chapitre Douze, un libro ormai all’indice su
richiesta dei legali della Moulinsart e della Fondation Hergé,
che ne hanno ottenuto il ritiro. Boulin ipotizza attraverso sedici
capitoli un parallelo fra le scene di Tintin e il comportamento di un alcolizzato,
credendo di trovare delle allegorie, insomma che anche Hergé fosse
alcolizzato. Il libro vietato è introvabile, anche se è venduto ormai
sottobanco a cifre da record, non giustificate se non dal perverso concetto che
spinge un collezionista ad acquistare a caro prezzo ciò che è vietato
dall’autorità giudiziaria, infatti è stato stampato in maniera assolutamente amatoriale,
pieno di errori di ortografia e poveramente impaginato. Per metà delle 180
pagine il saggio contiene riproduzioni di vignette di Tintin, senza che siano stati citati i copyright,
fatto che ha permesso ai suddetti avvocati di avventarsi senza difficoltà sul
malcapitato autore.
Molto bella la scena
dell’attacco aereo ai due protagonisti sperduti nel mare e l‘ingegnoso stratagemma
del reporter con il ciuffo per avere la meglio sui piloti. Per certi versi
riporta a I sigari del Faraone.
La lunga attraversata nel
deserto dei due amici, con Tintin, raziocinante, che trascina per mano un Haddock
inebetito dall’idea di morire di sete, è forse una delle trovate migliori in
assoluto di Hergé e sembra avere significati simbolici: potrebbe rappresentare
un’iniziazione a una setta, tipo la massoneria, d’altro canto l’autore è
ritenuto essere stato affiliato alla stessa, come riportano Bertrand
Portevin in Le Démon inconnu d’Hergé (2004) e Jacques Fontaine
in Hergé chez les initiés (2001), entrambi libri delle Éditions Dervy.
Ma potrebbe anche significare un percorso di liberazione dal vizio del bere! In
ogni caso lì si forgia l’amicizia imperitura fra i due.
L’estraniamento dalla
realtà nel presente racconto, e nei successivi, è sottolineato da un uso sempre
più ricorrente all’onirismo e alle allucinazioni terrificanti, che sottintendono
la presenza della guerra, a cui non si può fare cenno, se non indirettamente,
per motivi di censura germanica. E Hergé lo fa con grande maestria e
competenza. Ma è anche un ulteriore motivo per cui approfondirà sempre più i
rapporti fra i vari personaggi della sit-com tintiniana.
Per la parte descritta
nel deserto l’autore si è ispirato all’avvincente romanzo di Joseph Peyré,
L’Escadron blanc (1931), in cui si racconta di inseguimenti tra
meharisti sahariani e predoni del deserto, mentre per gli attacchi dei ribelli
contro gli aviatori si rifà a due romanzi di Antoine de Saint-Exupery, Courier
Sud (1929) e Vol de nuit (1931).
L’editore Casterman,
nel 1942, progetta di sostituire le vecchie copertine con singole vignette con
immagini a tutta pagina e fa realizzare una prova utilizzando una delle quattro
immagini fuori testo a colori. Hergé vi inserisce il titolo e il nome
dell’autore con l’inchiostro di china e la tempera, incollando, a completamento
della copertina, gli elementi tipografici. Il risultato finale è giudicato
convincente e da quel momento le copertine dei volumi saranno presentate con
questa impostazione.
La versione moderna a
colori, uscita nel 1943, fa parte del primo gruppo di episodi adattati a 62
pagine su quattro strisce.
Poiché la precedente
riduzione del racconto in strisce su Le Soir ha provocato una
diminuzione di pagine, per arrivare a 62 sono state colorate le quattro
immagini fuori testo della versione in bianco e nero, e poi aggiunte, insieme a
varie vignette intermediarie che sono servite a legare fra di loro le diverse parti.
In realtà i quattro
fuori testo sono stati ridisegnati nel 1948.
La versione odierna,
dunque, è quasi interamente simile a quella del 1943, a parte alcuni
rifacimenti e ritocchi invocati dalla censura americana, quali: le sostituzioni
di personaggi di colore con altri di pelle bianca o le immagini in cui il
barbuto capitano si attacca alla bottiglia, soppresse per evidenti motivi. A
questo punto, permettete un’affermazione, magari non condivisibile? Sembra
molto più realistica e ben costruita la versione originale in banco e nero!
Nel racconto si evolve
anche la tecnica delle inquadrature, in cui l’autore dimostra una buona
conoscenza di quelle cinematografiche. Nella versione in b\n, nella prima tavola
c’è la sequenza, muta, di Milou che, frugando nell’immondizia, rimane
con il muso incastrato dentro un barattolo, dando il via all’avventura.
Nella tavola 14 c’è la
celebre sequenza di Tintin che camminando sul molo trova il piroscafo Karaboudjan e, mentre
contempla i gabbiani che volano, si accorge di un pericolo scansandosi in tempo
per non finire schiacciato da un pancale.
Nella tavola 58 c’è la
scena dell’attacco dei beduini ai due protagonisti e Hergé ha detto di
aver disegnato, a suo giudizio, una delle sue due migliori vignette mai
realizzate, poiché in una sola è riuscito a disegnare i beduini che si
allontanano, uno dopo l’altro, dalla duna da destra verso sinistra come in una
successione temporale cinematografica.
Le ingiurie di Haddock
presenti in quella tavola, e poi durante i suoi attacchi d’ira, hanno fatto
scuola. In realtà sono parole innocenti, non sono insulti veri e propri,
impensabili da scrivere in una bédé di quegli anni rivolta ad adolescenti, però
risultano strepitose nel loro suono onomatopeico, dimostrando, ancora una
volta, la grande inventiva linguistica di Hergé.
Nel processo di
“normalizzazione” di Tintin viene sacrificato il fedele Milou, il cane parlante che
diventerà sempre meno parlante e importante ai fini di una storia e sempre più
un cane come tanti altri, simpatico, intelligente, fedele, birbone ma non parlante,
insomma un cane normale. Il suo posto viene pian piano occupato da Haddock,
anche se nell’immaginario mondiale non è ammissibile un’effige di Tintin senza quella di Milou al suo fianco e
con un osso in bocca, come ricorda a Bruxelles la grande insegna rotante
sull’edificio del palazzo delle Editions du Lombard, in rue Paul Henri
Spaak, all’uscita della Gare du Midi.
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