venerdì 3 febbraio 2017

I sigari del faraone, inizia il lungo viaggio verso la maturità


Nella quarta avventura di Tintin inizia la lunga marcia di Hergé verso la maturità creativa e grafica. Le figure diventano meno pupazzettistiche, inizia a utilizzare le immagini in ombra, come i maestri del fumetto americano, Roy Crane, autore di Wash Tubbs e Geo Mc Manus, autore di Bringing Up Father. Per la trama non si tratta più solo di descrivere puntata dopo puntata, senza un’idea precisa, un viaggio avventuroso del reporter con il ciuffo in un paese a lui ignoto, come era avvenuto per la Russia, il Congo e gli USA, l’autore ha ormai in mente una sinossi per la sua creatura: deve scoprire i trafficanti di oppio e di armi. Dunque un’altra avventura immersa nella realtà del suo tempo!


Pubblicata a puntate su Le Petit Vingtiéme dal dicembre 1932 al febbraio 1934 in 124 pagine in bianco e nero, questa è stata l’ultima dei primi episodi a essere ridisegnata e reimpostata in 64 pagine a colori nel 1955 con il sostegno degli Studios Hergé, mentre quelli lo sono stati fra il 1943 e il 1947 con l’aiuto di Edgar Pierre Jacobs.


Per la ricerca il nostro reporter spiega fin dalle prime vignette a Milou le tappe del viaggio intrapreso: Porto Said, il Canale di Suez, Aden, Colombo, Singapore, Hong Kong e Shangai, attraversando tre paesi, l’Egitto, l’Arabia saudita e l’India, salvo poi proseguire nella seconda parte del racconto, Il Loto blu, in Cina. Dunque un viaggio che attraversa tutto l’Oriente, dal medio all’estremo, ma nella prima parte i paesaggi esotici che fanno da sfondo agli eventi sono ancora solo abbozzi di scenografie, per quanto rifacentesi a foto e immagini d’epoca.


E nella versione in bianco e nero c’è un anacronismo già nella seconda vignetta della seconda tavola, in quanto Tintin capisce la risposta di Milou e risponde a sua volta; fino a quel momento gli interventi parlanti del cane sono soltanto commenti alle azioni umane del suo padrone o dei comprimari o ai suoi stati d’animo, ora invece avviene un vero e proprio scambio fra esseri senzienti! Sembra più una disattenzione, peraltro unica nella saga!


Hergé abbandona il piano puramente “reale” dei racconti precedenti per entrare nella sfera del fantastico, con uno sguardo nel mistero, nell’onirico e nella follia. Per quanto riguarda l’onirismo, c’è un sogno\allucinazione, provocato dai fumi dell’oppio, inusuale per una storia che teoricamente doveva finire in mano a lettori adolescenti.


Negli episodi successivi, all’onirismo si associano anche la chiaroveggenza, l’ipnosi, il paranormale, la radioestesia, la telepatia, lo spirituale e le superstizioni e gli extraterrestri, insomma un vero e proprio mondo di forze oscure, che rappresentano una chiave di lettura psicoanalitica importante nell’analisi dell’opera di Hergé, come ben evidenziato nel volume di Historia intitolato Tintin et les forces obscures (Les Editions La Presse, 2013).


La presenza di un mistero da risolvere spinge l’autore a ideare su Le Petit Vingtiéme una rubrica settimanale, Le Mystére Tintin, in cui pone domande e riporta le soluzioni più suggestive dei lettori. Tale rubrica proseguirà fino all’ottavo episodio, Lo Scettro d’Ottokar, contribuendo enormemente alla diffusione della mitologia di Tintin.


Indubbiamente la trama deve molto ai feuilletons: il misterioso Genio del male, che sembra morire cadendo da un dirupo, la terribile società segreta e il simbolo di Kih-Oskh, il fachiro cattivo, il veleno che rende folli, tutte trovate tipiche della letteratura d’appendice. 



Gli incappucciati, il simbolo e l’Oriente fanno venire in mente la massoneria; alcuni tintinofili sono convinti che l’autore ne fosse un affiliato, come si legge sui saggi che parlano dell’aspetto esoterico nella sua opera: Hergé au pays des tarots (Cheminements, 1999) e Hergé chez les Initiés di Jacques Fontaine (Éditions Dervy, 2004).



Un altro aspetto molto importante è la comparsa di personaggi che diventano routinari nelle storie di Tintin, contribuendo a creare quell’universo che renderà più plausibili le sue avventure e a internazionalizzarlo. Il primo è il nasuto e cattivo Roberto Rastapopulos, nemico giurato del nostro eroe, genio del male, l’Olrik tintiniano.



C’è anche la prima apparizione dei due poliziotti “gemelli” in bombetta nera, chiamati nella prima versione in bianco e nero X-33 e X-33 bis, mentre in seguito scopriremo i loro nomi: Dupond e Dupont, assolutamente indistinguibili l’uno dall’altro tranne che per un particolare fisico, la punta dei baffi, in su e in giù. Campioni di ingenuità e di scemenza, sono fra i personaggi meglio riusciti dell’universo creato da Hergé.


Come ricordato anche nel redazionale del volume della Gazzetta, i due sono la trasposizione delle figure del padre di Hergé, Alexis, e dello zio Léon, suo gemello. La loro misteriosa nascita ha rappresentato un segreto che ha portato molti biografi a ipotizzare per essi una discendenza reale in quanto figli di una relazione effimera della loro giovane madre, Marie Dewigne, con qualche alto personaggio, si fa il nome addirittura del re Leopoldo II! Tale ipotesi si basa sul fatto che la ragazza-madre fu inspiegabilmente ospitata nella casa della contessa Errembault de Dutzeele, dove i due gemelli furono allevati.


Fino a 14 anni furono educati, vestiti e mandati a scuola, in un periodo in cui la scuola non era per tutti, a spese della contessa, che provvide anche a fare sposare alla madre, all’epoca trentatreenne, un uomo più giovane di lei di dieci anni, Philippe Eugene Remi, un uomo che diede il proprio cognome ai gemelli, pur non vivendo mai con la ragazza. E quando loro chiedevano notizie sulla paternità, la madre rispondeva che se glielo avesse detto, a loro poteva girare la testa! Si ipotizza che questa vita agiata sia stata concessa in cambio del suo silenzio sulla paternità dei bambini. In ogni caso lei fino alla fine non disse niente a nessuno, compresi parenti e amici.



Nella vasta biblioteca di saggi sull’autore non mancano scritti in questo senso: Avant Tintin di Hervé Springael (1987), Hergé, portrait biographique di Thierry Smolderen e Pierre Sterckx (Casterman, 1988),Tintin et le secret d’Hergé di Serge Tisseron (Editions Hors Collection, 1993) e Le démon inconnu d’Hergé di Bertrand Portevin  (Dervy, 2004).


Il mistero, che oggi sarebbe facilmente risolvibile con le ricerche sul DNA, ha influito molto sul carattere di Hergé, il quale, forse, si considerava di sangue reale ma non poteva dimostrarlo. Indubbiamente oggi la sua popolarità in patria, e fuori, è tale che potrebbe essere considerato alla stregua di un vero e proprio re del Belgio!
L’ultimo personaggio ricorrente nella serie è il mercante portoghese Oliveira de Figuera, una figura allegra e fracassona, molto meridionale, che riesce a sopraffare perfino la serietà del reporter con il ciuffo, il quale, negli incontri con il simpatico imbonitore, soccombe sempre in una maniera beatamente incosciente!





C’è poi la figura dello sbadato scienziato Philémon Siclone, che prelude a quella futura e più incisiva del candido professor Tournasol (Girasole).
Un altro anacronismo riguarda la copertina del volume delle avventure di Tintin che lo sceicco Patrash Pasha mostra al reporter, suo prigioniero. Infatti nella versione in bianco e nero del 1934 c’è quella dell’avventura americana, immediatamente precedente, nella seconda sempre in bianco e nero, è riprodotta quella dell’avventura congolese, mentre, invece, nella prima versione a colori del 1955 c’è Obiettivo Luna, uscito nel 1953 ma che negli Anni Trenta non esisteva!






Per i volumi pubblicati da Casterman sono state utilizzate tre copertine differenti. La prima, molto particolare con l’eroe che spunta dietro una colonna imprecisata, con una pittura egizia sullo sfondo, risente dell’influenza del cinema espressionista tedesco ed è per la versione in bianco e nero del 1934.



La seconda, sempre per l’edizione in bianco e nero, è del 1942 ed ha il medesimo tema però è ridisegnata in maniera più dettagliata, più bella ed è molto ricercata dai collezionisti.



L’ultima è stata utilizzata per la versione di 64 pagine a colori nel 1955, versione poi rimaneggiata definitivamente, a sua volta, nell’edizione del 1964. Quest’ultima copertina si evidenzia per la scherzosa presenza di Jacobs, rappresentato fra le mummie degli egittologi, un vero e proprio omaggio al suo primo aiutante, che con Il Mistero della Grande Piramide ha fatto entrare in maniera strepitosa l’Egittologia nella BD.



Forse Hergé ha provato rimorso per non aver aderito alle richieste di Jacobs di aggiungere il proprio nome sui volumi di Tintin, nel periodo della loro amichevole collaborazione, in cui Jacobs ha ridisegnato e colorato le prime storie e aiutato nella realizzazione delle successive.



Un terzo anacronismo presente nella versione del 1955 è la comparsa di Allan Thomson, il quale, in realtà, farà il suo primo ingresso nel successivo nono episodio Il granchio d’oro.


Le edizioni delle prime opere di Hergé con diverso numero di pagine, in bianco e nero o a colori, con copertine differenti o vignette via via sostituite da altre più “politically correct”, rappresentano un vero rompicapo per i collezionisti tintinofili, costretti ad acquistarle tutte; Fra i non pochi i saggi dedicati all’argomento spicca l’esaustivo Dossier Tintin di Frederic Soumois (Jacques Antoine, 1987).







1 commento:

Simone Rastelli ha detto...

Purtroppo temo che Dossier Tintin di Frederic Soumois sia fuori catalogo.