venerdì 26 maggio 2017

Jonathan e l’altra metà del cielo

Dopo sedici album in quasi quaranta anni la grande avventura di Jonathan è giunta (forse) alla sua conclusione e il nostro “eroe” errante nel sud-est asiatico (forse) torna a casa. Tutti questi forse sono d’obbligo visto che, se è vero che nell’ultima storia finora pubblicata si riprendono le fila dei primissimi episodi per fornirci un più sereno epilogo del dramma, Cosey non ha mai escluso di poter riprendere a narrarci le suggestive ricerche in paesi lontani e nel profondo dell’animo del suo unico personaggio seriale.


Nel frattempo è possibile rileggere la saga (questa bédé merita più riletture!) e soffermarsi su uno dei numerosi temi che animano la saga, a partire da quello che è forse il più evidente e affascinante, ovvero la rappresentazione dell’universo femminile o, come si usava dire in quegli anni, dell’altra metà del cielo.
Sono ritratti che restano indimenticabili nel lettore, sia quelli affrontati in poche pagine sia quelli approfonditi, ma raramente, in più albi, narrati con la tipica essenzialità di testi e con una raffinata resa grafica.


A dare inizio a questa serie di figure femminili è Saïcha, il grande amore giovanile di Jonathan. Il personaggio compare in sordina e si fa strada lentamente nei ricordi sfuggenti di Jonathan nel corso del primo episodio, Ricorda, Jonathan….

Nelle poche e limitate successive apparizioni la vediamo trasformarsi da piccola sfollata tibetana in Svizzera a giovane donna impegnata in operazioni umanitarie nel suo Tibet natio. È un personaggio che si fa progressivamente strada, sostenuto dagli sforzi di Jonathan di afferrarne il ricordo, sempre più coinvolgente fino a diventare l’elemento portante della storia.
A sdrammatizzare la vicenda narrata in questo primo episodio sono gli intermezzi con la piccola Themba, a cavallo del suo yak, che ha perso sì l’udito ma possiede una straordinaria sensibilità, in grado di percepire molto bene il bisogno di aiuto di “Occhi chiari”, l’occidentale che si è paracadutato dal cielo alla ricerca di non sa cosa, e dimostra una grande autonomia malgrado la giovanissima età.
Il secondo episodio, E la montagna canterà per te, ci presenta una figura femminile totalmente diversa. Si tratta di Nyima, la piccola strega che attira con il suo canto che si disperde sulle vette del tetto del mondo.
Un incontro con una strega in uno scenario desolato è tutt’altro che augurabile ma per Jonathan rappresenterà la chiave per aprire un nuovo squarcio nel suo passato e poter lenire un’altra parte delle profonde ferite nel suo animo.
A piedi nudi sotto i rododendri propone altri due personaggi femminili, in due diverse fasi della vita. Si tratta di una giovane donna, Renzin, dal “sorriso ineguagliabile dai gioielli più belli”, un sorriso che si manifesta soprattutto quando si reca a trovare l’occidentale che si è fermato nel suo villaggio. Inutile dire che il suo amore per Jonathan è tanto palese quanto inespresso. Con lei si apre la galleria nei possibili “amori” di Jonathan, ma è ancora troppo presto. Il nostro avventuroso protagonista è molto più attratto dal mistero del ladro notturno di cibo, poi assorbito dalla comparsa della piccola Drolma, un’altra figura di bambina che però stavolta lo accompagnerà nell’arco di alcuni episodi, in una non chiara definizione di chi è a curare chi.
Drolma è un’altra bambina indipendente, tutt’altro che inerme, e nell’episodio successivo, La culla del Bodhisattva, il suo intervento è fondamentale nello sviluppo del racconto per sbloccare una situazione nella quale il vero dramma non è quello che si vede a prima vista.
In quella che è forse una delle più belle storie della serie, Spazio blu tra le nuvole, il nostro vagabondo svizzero si fa da parte e sembra dimenticare le proprie vicende per lasciare spazio alla stupenda storia di un Colonnello inglese in volontario esilio tra le montagne, per fuggire dal mondo occidentale, dalla sua Inghilterra, un po’ come Jonathan dalla sua Svizzera.

La sua solitudine è spezzata da un’altra indimenticabile giovane donna: annunciata e attesa appare Shangarilla, una guerrigliera Khamba. Un incontro commovente, ancor più d’atmosfera per l’inconsueta ambientazione e per la natura dei protagonisti.

Jonathan si tiene in disparte per assistere, involontario testimone, a una silenziosa, tacita ma profondissima storia d’amore tra due mondi lontani e due età incolmabili ma allo stesso tempo molto profonda e forte, velata di rimpianto.

Dopo giovani attraenti e bambine dinamiche, è nel sesto episodio, C’era una volta Douniacha, che la presenza femminile è rappresentata da una donna di una certa età, indefinibile sicuramente ma segnata dalla vita, confinata in un villaggio soffocato dalla presenza degli invasori. Non si tratta però di un personaggio triste, malgrado la situazione non certo serena in cui vive, tutt’altro.
La sua ironia, la sua apertura alle fascinazioni del mondo occidentale, la stranezza del suo nome, Elizabeth, sono un piccolo capolavoro di rappresentazione di un’umanità che vuole vivere e continuare a sorridere in un mondo stravolto dalla guerra e dallo scontro armato tra popoli e culture.

Come alla fine di un percorso in cui nelle storie di Jonathan è stato presentato un ventaglio sufficientemente rappresentativo del mondo femminile, a cui affezionarsi soltanto, a partire dal settimo episodio, Kate, sembra giunto il momento di concedere all’inquieto occidentale, volontario esule in Asia, una nuova storia di profondo coinvolgimento personale, graduale, discreta, a tratti inquietante, un ritorno alla voglia di vivere pienamente la vita.

Drolma è sparita e non riapparirà più, senza alcuna spiegazione neanche accennata. Ma le spiegazioni nelle storie di Cosey sono qualcosa che non ci si deve mai aspettare, come nella vita vera sono tante le cose che sfuggono, che non si sanno né si sapranno mai veramente. Si può immaginare, fare congetture ma inutile sperare in una puntuale descrizione del come e del perché qualcosa succede o non succede, del vero motivo per cui qualcuno torna e qualcuno sparisce. “Chi ha detto che non l’ho rivista?” replica Jonathan a un’esplicita domanda. Non ha certo mai sostenuto di voler raccontare tutto, no?
Se Kate è la protagonista della storia che porta il suo nome e divide la scena con Jonathan, Eileen è solo un personaggio secondario del Segreto del serpente, l’episodio successivo. La si vede poco e parla ancora meno, ma il suo è un mutismo molto esplicativo, dagli sguardi pieni di significato, dalle battute secche. Apparentemente inerme e stravolta da un’esperienza tragica, è una di quelle donne che, dopo un lungo precipitare nella voragine della depressione, al momento finale sa riprendere il controllo della sua vita e decidere in maniera autonoma, anche se incomprensibile o per lo meno inconsueto secondo il metro del buon senso comune.
Inutile aspettarsi da Cosey lo sfruttamento a lungo di trame già avviate o situazioni in sospeso, almeno a breve termine. Così in Neal e Sylvester il piccolo americano alla ricerca dello Yeti occupa tutta la scena insieme al suo fido Sylvester e a un divoratore di biscotti a quattro zampe. Nessun personaggio femminile? Non proprio. In una piccola sosta Jonathan va a trovare una graziosa guaritrice tibetana nel villaggio di Zeng. “Sono sei mesi che non ti fai vedere!” Lo apostrofa lei. Ma quando l’ha già vista? Abbiamo saltato un episodio o scordato qualcosa? Cosey non ce lo ha raccontato ma ci fa capire che la loro amicizia non deve essere stata né occasionale né saltuaria, e forse anche qualcosa più di una semplice amicizia.
Per fortuna qualche personaggio torna, e i lettori più inclini alle corde romantiche non possono non rallegrarsi nel rivedere Kate nell’unico dittico della serie, Lo zio Howard è tornato e Greystore Island, dove per la prima e l’unica volta, Cosey ci mostra Jonathan fuori dai suoi ormai consueti scenari del sud-est asiatico. Be’, il nostro svizzero poco propenso alle smancerie in quest’occasione si lascia per un momento un po’ andare, ma inutile dire di più. Non ha forse resistito fin troppo agli occhi della bella americana?


Questa lunga storia è l’unica con un mistero da risolvere, con elementi dell’avventura classica, dove si coglie l’occasione per mostrare sullo sfondo un altro personaggio femminile da galleria, la dinamica Thelma, moglie di un detective, che lavora nella società del marito, dove non manca l’utile ma il dilettevole lascia a desiderare!

Il dodicesimo episodio della serie, Colui che guida i fiumi al mare, appare dopo un intervallo di ben undici anni. E anche per Jonathan dev’essere passato qualche tempo, visto che ora si trova in Cina carico di tanti nuovi ricordi.
Tutto quello che è successo nel frattempo non ci è dato saperlo. Solo qua e là in questo e negli episodi successivi si accenna a qualcosa ma solo una minima parte, quella funzionale alla comprensione della vicenda. Tante cose non vengono raccontate, e forse non lo saranno mai.

Siamo in Cina, ai confini con il Nepal, e dietro la fuga d’amore di Yamtzung la Voce si staglia la bella, impenetrabile Yung Lan, Colonnello dell’Armata Rossa. È apparentemente fredda, calcolatrice e contenuta ma pagina dopo pagina riesce quasi a far dimenticare Kate!

Questo splendido personaggio femminile merita immediatamente un seguito e Il sapore del Songrong accontenta chi vuole rivedere l’affascinante Colonnello e seguire Jonathan alla ricerca della “stella che si vede di giorno”. A fare da contrappunto al romanticismo del nostro protagonista Cosey ci regala una storia parallela su toni burleschi, quella della anziana Beauté, curva sotto il peso della pesante gerla che trasporta tutto il giorno, assillata giorno e notte da un maturo spasimante, audace e disinibito, un vero “vecchio porco”.

Dopo una serie di episodi dall’impianto narrativo più tradizionale e da un intreccio che si rivela tavola dopo tavola, anche se sempre alla Cosey, Lei o le diecimila lucciole rappresenta, come ha detto anche lo stesso autore, qualcosa a parte, dove una serie di fili sospesi, di cose che si vogliono dire, di luoghi che si vogliono mostrare si combinano in una storia che ha sequenze spettacolari ma dal racconto sfuggente e poco chiaro e in molte parti sorprendentemente verboso e prolisso.

L’incontro con la bella Sabei, sullo sfondo del lago Inlé è una piccola perla incastonata al suo interno. Il suo viso, il suo sorriso, le sue parole sono indimenticabili. L’autenticità del personaggio è sorprendente. 
Se nei primi episodi la ritrosia di Jonathan a intrecciare storie d’amore è evidente, negli ultimi avviene una sorta di liberazione dai fantasmi del passato, e in ogni nuovo album vediamo il nostro eroe concedersi nuovi abbandoni.

Un assurdo pretesto sembra buono per andare in Giappone (consegnare di persona una busta), ma anche Jonathan non riesce a nascondersi che la voglia di rivedere la graziosa Atsuko deve aver pesato molto in questa stramba decisione.


E sarà stato anche il destino che sembra muovere le fila di Lei non c’è più, ma ritrovare in India un altro amore infantile dopo venti anni e riuscire a superare insieme qualcosa che aveva avuto inizio nella lontana fanciullezza, non è forse il modo migliore di riconciliarsi con le tragedie del mondo ed essere finalmente pronti ad affrontare la vita, passata e futura, con maggiore serenità?


2 commenti:

Anonimo ha detto...

Tutto bello! Non capisco, però, come un autore affermato come Cosey sia potuto scendere così in basso cimentandosi con un improbabile Topolino che sembra scaturito dalla matita di un bambino delle prime classi delle elementari. Quella che è stata presentata come una versione vintage si è rivelata, invece, una mera operazione commerciale. Ne aveva davvero bisogno il nostro buon svizzerotto? Caro Bernard il fumetto umoristico è un'altra cosa ed è tutt'altro che semplice! Ad ognuno il proprio mestiere. Avanti con Jonhatan allora! Merci.

Anonimo ha detto...

Concordo pienamente! Cosey era presente all'ARF a Roma. abbozzava personaggi Disney davvero imbarazzanti con la presunzione del grande artista. Credo che gloria e fama vadano guadagnate sul campo. Cosey è giustamente diventato un grande per Jonhatan, Viaggio in Italia, Alla ricerca di Peter Pan e sicuramente mi sfugge qualcosa. Topolino, per cortesia, lasciamolo ai nostri buon Cavazzano, Casty, ecc.
VICTOROMEGA.