mercoledì 29 marzo 2017

Eih bennek, eih blavek, monsieur Tintin!


Sei mesi dopo la fine dell’Isola Nera, dal 1 agosto 1938 al 10 agosto 1939, Hergé pubblica su Le Petit Vingtiéme la nuova avventura di Tintin, intitolata Tintin en Syldave, lunga 108 tavole.


Poi il racconto è pubblicato in un volume di 106 pagine in bianco e nero nel 1939 con il titolo Le Sceptre d’Ottokar, in italiano Lo Scettro d’Ottokar. Ormai l’arte di Hergé, sia da un punto di vista grafico che di scrittura di soggetti, migliora da un episodio all’altro, la struttura dei suoi racconti diventa più solida, più plausibile.


Il precedente ammonimento dell’abate di Louvain a non descrivere il popolo cinese secondo gli stereotipi dell’epoca e il prezioso aiuto dell’amico cinese Tchang Tchong per Il Loto blu sono state lezioni perfettamente recepite dall’autore: anche nel caso di un popolo fittizio, quale è quello sildavo, la descrizione deve avere una parvenza di realtà.


La trama si svolge nell’Europa dell’Est in un momento storico in cui da pochi mesi c’è stato l’Anschluss dell’Austria da parte della Germania nazista di Hitler. E Lo Scettro d’Ottokar è il racconto di un Anschluss mancato in un paese immaginario, la Sildavia, che Hergé crea con grande intuito e fantasia, inventando storia, geografia, economia, etnografia, sigillografia, numismatica, perfino lingua e sintassi di quella nazione! Il tutto serve a rendere credibile per il lettore il paese in cui si svolge l’episodio.



Oltre alla Sildavia, il cui nome deriva dall’unione della parole greca sylva (bosco, foresta) con Moldavia, ha creato anche uno stato fascista nemico, la Borduria, nome derivante dall’unione di bordure (confine) con Bulgaria. Da un punto di vista politico europeo la Sildavia potrebbe essere identificata con la Polonia, invasa dalla Wermacht tre settimane dopo la fine della pubblicazione dell’episodio su Le Petit Vingtiéme, oppure con l’Austria o l’Albania. Come ha scritto nel 1939 il medesimo autore a Charles Lesne, braccio destro dell’editore Louis Casterman, inquieto per l’eccessiva lunghezza dell’episodio Tintin en Syldavie: «Se hai seguito un poco la storia vedrai che è tutta basata sull’attualità. La Sildavia è l’Albania. Si prepara un’annessione in piena regola. Se si vuole approfittare del beneficio di questa attualità, questo è il momento o mai più.»


Mentre la Borduria potrebbe essere stata la Germania o la Russia sovietica, non dimenticando però che in una vignetta i militati dell’alto comando borduro indossano una camicia nera sotto la divisa, come la nostrana milizia fascista. Il nome del cattivo Musstler, capo della Guardia d’Acciaio, deriva chiaramente dall’unione di quello di Mussolini con quello di Hitler! Sildavia e Borduria entreranno, come San Teodoro, nella geografia fantastica di Tintin, tanto da essere riutilizzate in altre storie successive.



Con questa metafora politica si può parlare di chiaroveggenza politica, di semplice casualità o di pura intuizione di Hergé? Nessuno è in grado di dirlo, si può però sottolineare solo la sua grande capacità di sintesi nell’attualità della sua epoca. In pratica ha creato una finta trasposizione di un fatto, contemporaneamente a quanto avvenuto nella realtà!


Si sa che il compagno di scoutismo di Hergé, Philippe Gérard, da lui ritratto nel 1929, ha giocato un ruolo nell’elaborazione del racconto. Hergé riconosce il suo merito nell’intervista fattagli da Numa Sadoul nel 1971, però senza nominarlo poiché si allontanarono durante la guerra: «È un amico che mi ha dato l’idea della storia.» E nel 1982 conferma a Benoît Peeters: «Non mi aveva dato un vero soggetto, mi aveva suggerito delle eccellenti idee, molto approfondite, su cui potevo ricamare sopra.» Tuttavia né tali confidenze allusive, né la dedica del volume a colui “senza il quale questo libro non ci sarebbe stato” permettono di valutare il reale apporto di Gérard alla realizzazione della storia. 


Dopo il feticcio arumbaya, anche in questo episodio c’è un oggetto simbolo, lo Scettro di Ottokar raffigurante il pellicano, simbolo del paese, che rappresenta il potere per chi lo possiede! E il suo possesso diviene l’argomento centrale del racconto.



Geniale la trovata di Hergé di immaginare una brochure turistica sulla Sildavia, realizzata nelle due tavole della sedicesima puntata su Le Petit Vingtiéme. Il depliant contiene un testo con informazioni sulla Sildavia e riproduzioni di foto che servono a inquadrare la sua situazione geo-politico-economica. In alcune di tali foto l’autore disegna inquadrature di personaggi che guardano verso il lettore, nell’intento di rafforzare l’idea in chi legge di essere di fronte a una nazione realmente esistente e a un fatto accaduto! Questo voler inserire ormai nei racconti la riproduzione di documenti stampati, presentandoli come autentici, serve ad Hergé per calare le trame di Tintin in un contesto credibile.



Nel racconto compare per la prima volta Bianca Castafiore, stupefacente cantante della Scala di Milano, unica presenza del gentil sesso ammessa da Hergé nell’universo tintiniano.


Per quanto riguarda l’aspetto umoristico del racconto, fin dall’inizio regnano sovrane le gag dei pasticcioni Dupond-Dupont con le loro ripetute cadute.


Più sottili quelle ideate per Milou, che in questo episodio ha un’importanza rilevante. La ripetuta gag del fedele cane, più volte spinto dall’istinto famelico a prendere ossa da rosicchiare, compreso quello di un animale antediluviano,


serve per la scena finale in cui il povero quadrupede, costretto a scegliere fra il piacere di un succoso osso o il dovere di prendere lo Scettro, oggetto per lui senza alcuna importanza ma che interessa Tintin, soccombe al dovere nei confronti dell’amico\padrone e salva lo scettro, che è riconsegnato al suo legittimo possessore, il sovrano Muskar XII.


Abbiamo detto della presenza dei due simpatici poliziotti gemelli, ma in questo episodio c’è una particolarità, una seconda coppia di gemelli, Nestor e Alfred Halambique. Ecco dunque ritornare in maniera più ossessiva il tema del “doppio”, che potrebbe trovare una sua spiegazione psicoanalitica nel segreto familiare di cui abbiamo scritto nel post su L’Isola nera. Tale ossessione per il doppio può anche essere letta come un’ammissione inconscia di una ambiguità nella propria vita: una faccia esteriore, tutta casa, chiesa, scoutismo e fumetto e una più nascosta, che ambisce a vivere una vita più libera, meno costrittiva e che verrà in superficie negli anni a seguire. Forse è anche questa ambiguità uno degli aspetti più intriganti della personalità di Hergé.



Il volume, uscito nel 1939, avrebbe dovuto chiamarsi Lo Scettro di Ottokar IV, poi il numero romano è stato soppresso. In copertina scompare la parola reporter, presente nei precedenti volumi.


Per una serie di ritardi i quattro fuori testo disegnati da Hergé arrivano tardi in tipografia, per cui 500 copie “incomplete”, oggi ricercatissime dai collezionisti, sono distribuite presso le principali librerie e alla stampa.



È innegabile il prezioso aiuto di Edgar Pierre Jacobs sulla rimodulazione degli sfondi per la versione a colori, pubblicata in volume da Casterman nel 1947. La sua puntigliosità sulle ricostruzioni storiche è ormai leggendaria e con il suo apporto il racconto acquista un aspetto epico che manca nella versione in bianco e nero, peraltro ben costruito.


Il creatore di Blake et Motimer aggiunge due ali al pellicano dello Scettro di Ottokar, dandogli un aspetto più regale;


nella brochure turistica aggiunge una splash page riproducente la battaglia di Zileheroum, disegnata come se fosse stata ripresa da una miniatura, in realtà sulla falsariga delle miniature persiane del XV secolo;


la descrizione del castello è migliorata e quella della corte reale di Muskar XII diviene più sfarzosa.


In una fra le più celebri vignette, quella finale sull’ingresso di Tintin nella sala del trono per la cerimonia della consegna dell’Ordine del pellicano d’Oro, la più alta onorificenza sildava, mai concessa a uno straniero, i due autori si sono divertiti a ritrarsi nella nobiltà della corte insieme agli amici più prossimi: Ginette e Jacques Van Melkebeke, Édouard Cnaepelincx e il pittore Marcel Stobbaerts, oltre a Germaine Kieckens, prima moglie di Hergé, e al fratello Paul Remi.


Per essere più precisi Jacobs è ritratto in tre vignette contro le due di Hergé. In effetti tutta la storia potrebbe essere letta come un desiderio nascosto da parte di Hergé di essere accolto presso la corte belga o di rivalsa per un ipotetico titolo genealogico nobiliare, se non addirittura regale, a lui precluso. E, vista in questa ottica, la vignetta di Tintin nella sala del trono è molto significativa.




Nella rivista canadese Tchiize del 1987, c’è il racconto a puntate Les aventures de Quinquim-la-flotte a la recherche de Tintin di Luis Neves. La storia si rifà a Lo Scettro d’Ottokar e a L’Affare Tornasole, infatti si svolge in Sildavia e ci sono anche il castello di Klow, la dimora di Moulinsart, Nestor e il capitan Haddock, che incarica Quinquim e il suo amico Garcia di ritrovare Tintin, scomparso in Sildavia. Uno degli innumerevoli omaggi moderni al reporter con il ciuffo!













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