giovedì 9 aprile 2020

Jijé, l’altro padre delle bedé



Una corposa collana di saggi sul fumetto in generale è Mémoire vive diretta da Philippe Morin per i tipi di PLG.


PLG è la contrazione dall’acronimo P.L.G.P.P.L.R. delle parole Plein le gueule pour pas le rond, curioso titolo di una fanzine francese pubblicata dal 1978 da Morin con Pierre-Marie Jamet e Dominique Poncet. La rivista ha proposto sulle sue pagine articoli di critica, interviste, reportage, opere di giovani autori e interventi di autori di grido. Fino al 2003 sono usciti in totale 32 numeri, a cadenza prima quadri o semestrale e dal 1987 annuale, più due numeri hors-série. Dal 1986 ha accorciato il titolo in PLG.


Oggi è rimasto il solo Morin, che ha proseguito il progetto pubblicando la collana Mémoire vive, giunta al n.26, intitolato Jijé L’autre pére de la BD franco-belge.


Come tutti ormai sanno tre sono i padri nobili della bedé belga: Hergé, Jijé e Willy Vandersteen, ognuno capostipite di una scuola. Nonostante l’enorme influenza avuta da Jijé su numerosi autori franco-belgi, esistono pochi saggi dedicati a lui, una goccia in mezzo al mare delle pubblicazioni dedicate invece a Hergé.


Il volume in questione è scritto da Philippe Delisle e Benoît Glaude (PLG, 2019).
Delisle è noto per aver pubblicato alcuni saggi su aspetti religiosi della bedé nella collana Ésprit BD, da lui diretta, delle Éditions Karthala di Parigi.
Il volume, di 180 pagine, è molto ricco di testo e passa in rassegna i vari periodi della vita e della carriera di Jijé, definito da Yves Chaland il grande precursore della bedé moderna.


Indubbiamente è stato l’autore bedé più artista nel vero senso della parola, in quanto incisore, illustratore, pittore e scultore, oltre che autore di bedé pubblicate su diverse testate. Purtroppo né i suoi eredi né le Éditions Dupuis sono riuscite a organizzare dei fondi di archivio.


Un vero peccato che a Bruxelles non ci sia più un museo dedicato a questo maestro della Nona Arte, come del resto, neanche a Jacobs e a Franquin.
I capitoli in cui è diviso il volume si intitolano:


1) Fils de Tintin, in cui sono evidenziati i suoi primi passi sotto l’influenza dell’arte di Hergé, da cui si stacca via via per trovare un proprio stile grafico.


2) Fils d’écrivain, che descrive i primi anni in cui era ancora incerto sulla strada da prendere, per cui ha realizzato numerose illustrazioni per libri, a noi praticamente ignote.


3) Fils de curé, dove è descritta la sua carriera di autore della bedé confessionale, confermandosi il migliore specialista in questo campo con le biografie di Don Bosco, la più celebre, di Bernadette Soubiros, Blanc Casque e Charles de Foucauld. La sua opera più importante in questo settore è Emmanuel. Persino nelle storie avventurose di Blondin et Cirage, Jerry Spring e Jean Valhardi è costante la sua preoccupazione di descrivere la “bonne morte”, cioè una morte cristiana anche per i cattivi.


4) Jijé confrère descrive negli anni Cinquanta il suo perfezionamento stilistico senza sosta, da buon autodidatta. Collabora con Jean-Michel Charlier, René Goscinny, Jacques Lob, Maurice Rosy e Jean Doisy.


Sono gli anni in cui subisce anche l’influsso delle inquadrature cinematografiche, come si evidenzia nel racconto El Senserenico, per il settimanale Bonnes Soirées della Dupuis.


5) Frére des peuples, in cui si sottolinea la sua battaglia contro i pregiudizi razziali, un tema caro a un vero credente nel Cristianesimo, quale è lui.


6) Pére fondateur, in cui si evidenzia l’importanza del suo influsso su tutta la bedé franco-belga attraverso nomi importanti, quali: Eddy Paape, Will, Morris, Sirius, Mouminoux, Franquin, Jean Giraud, Hermann, Cosey e Derib, tanto per citare i più noti.

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